Mi taglio i capelli da sola
guardando un tutorial su Youtube. In pratica ti devi fare la coda di cavallo
bassa e cominci a tagliare due dita dall’elastico, in modo che non vengano
troppo corti. Avrei potuto fare un video a mia volta per mostrarvelo ma non ci
ho pensato. Erano tutti rovinati, li avevo colorati di rosa un casino di volte,
poi ero ritornata del mio colore, sempre acidi sono. Zac, e passa la paura.
Erano parecchio storti, ma che importa, sono in Australia, e poi la Cate è
recidiva a questo tipo di cose. Alle superiori, un pomeriggio, a casa di un
amico, in due mi avevano tagliato i capelli, uno con le forbici da carta e
l’altro con quelle da pesce. Erano venuti storti anche allora. Aggiustandoli da
me mi ero alla fine rasata le tempie, tenendoli corti dietro. Vabbè avevo 16
anni, ero carina lo stesso, con la giacca di vellutino rosso porpora comprata
in un mercatino di Amsterdam, sbaccolata qua e là, di due taglie più grande
della mia misura.
Quella sera al lavoro, due miei
amici mi fanno una sorpresa e mi vengono a trovare. Sono Marco e Luciano, uno
di Roma, l’altro di Palermo. Rimaniamo che facciamo una birra insieme quando
stacco.
C’è un pub carino all’angolo di
Elizabeth street, il Workshop. Elizabeth
street, quanti ricordi. È stata una delle prime vie che ho sentito nominare.
Ok, è una delle vie principali, la coronaria che unisce la periferia al centro,
ma mi risuona dentro la sua eco, una voce che ha trattenuto i primi scatti del
mio arrivo in Australia. Le mappe mentali che ti fai della città e che poi
stravolgerai totalmente mano a mano che unisci una via all’altra, ricostruendo
i pezzi della città.
Ordiniamo una jug, che poi
diventeranno due. Parliamo d’amore, ci piace tanto parlare d’amore. Io faccio
un po’ la spaccona, come mio solito, loro lo stesso, credo sia una componente
italiana: io di qua, io di là, un mio amico ha fatto questo e quello, una gara
piacevolissima a chi l’ha fatta più grossa, a chi ha il racconto più
divertente. Marco ha 23 anni e fa il cuoco in un ristorante australiano. Ha la
passione per la musica e ogni tanto fa qualche trasmissione in radio, nella
stessa Radio Kiss sopra il Lounge, dove lavoro e dove stipiamo la roba da
magazzino. Però non ci siamo incontrati mai. Ci dice che da poco ha iniziato a
fare anche le pizze. Ha le idee chiare: sta mettendo da parte i soldi per lo
student e restare qua. È piccoletto di statura, vestito malissimo anche lui, ma
ha uno charme naturale, e una marea di donne, anche se giovane, di tutte le età
– nel limite consentito. È vero, come diceva un mio amico, che “a trombare con
la bocca sono buoni tutti”, ma conoscendo sia lui che Luciano non ho dubbi che
sia vero. Luciano, il palermitano, lavora invece nel marketing, non mi ricordo
bene. E anche lui è Mr. Casanova. Sono due amici di Nicoletta, ci siamo
conosciuti in giro.
Parliamo, ridiamo, beviamo. È un
pezzo che non uscivo, mi va di fare serata, di stare ancora in giro. Nicoletta
s’infurierà che faccio tardi con quei due e che con lei non esco mai, ma un
conto è prendere la serata come viene e improvvisare, un’altra cosa è impomatarsi
tutte e andare in quei postacci con la musica orrenda dove si va a rimorchiare.
Mi viene in mente il Bollicine di Misano
Andriatico, una volta per ridere ci ho portato la mia mamma e una sua amica, ne
avevo tanto sentito parlare quando ero piccola, è per gente che ora ha tra i 40
e i 60 anni e che negli anni ’80 ne aveva un po’ meno. È stata un’esperienza.
La cosa era surreale. Le donne sui divanetti e gli uomini come sciacalli
facevano le ronde e chiedevano alle signore se volevano bere qualcosa o ballare.
L’amica di mia mamma non l’ha presa sul ridere e ha detto che non si è mai
sentita tanto a disagio in vita sua.
Detto questo, Marco mi fa, perché
non andiamo da me? Sì, dico io. Luciano però ci da buca perché il giorno
seguente aveva un meeting e doveva svegliarsi presto.
Prendiamo un taxi perché dopo
aver camminato per un bel pezzo i tram avevano esaurito le corse. Marco sta
decisamente in periferia e vive in casa con la sua zia quasi ottantenne. Che
figata, penso, in quale altro modo poteva capitarmi di finire nella casa di una
signora anziana! Era come entrare a conoscenza di qualcosa di intimo e di
privato, la vita di una donna emigrata a Melbourne tanti tanti anni fa con le
speranze e i sogni forse uguali, forse diversi dai nostri.
È una casetta monofamiliare,
pulitissima, con vecchi quadri alle pareti, foto di parenti, nipoti e cugini.
Tante statuette senza senso, alcune fatte di conchiglie, altre di ceramica e
stoffa.
«Non preoccuparti, parla pure ad
alta voce, mia zia è sorda come una campana.»
Marco tira fuori una palla. Pasta
per la pizza. Mi fa vedere come la lancia in aria e come diventa larga e fina,
lancio dopo lancio. Tira fuori anche un rum e con quello ce ne andiamo in
cortile. Ha un pappagallo enorme in una gabbia. È aggressivo, come ti avvicini
ti becca.
«Si deve abituare a me, ma io non
ho fretta. Sono capace di passare con lui ore e ore finché non imparerà a
fidarsi di me.»
Il cortile e bello grande e ci
sono alberi di limoni e un reticolato su cui si arrampica una vite. Quando
andiamo a dormire facciamo all’amore. Poi al mattino, verso le cinque, prendo
il treno per tornare a casa.
Ormai mancano pochi giorni alla
mia partenza. Le ultime settimane sono intense e piene di feste. Da una parte
sono contenta, dall’altra non ne posso più. Sogno la fattoria dei cavalli,
svegliarmi all’alba per curare gli animali, studiare e non sentire volare una
mosca. Oddio. Se vado in fattoria sarà difficile. Anyway.
Saluto i ragazzi di Pesaro ma
tanto loro li sento sempre su facebook e al telefono anche se non ci vediamo
quasi mai. Se penso che Matteo Magi del bar non l’ho visto un solo giorno!
Eppure l’ho sentito un casino di volte, al telefono e su whatsapp, lo stesso
Colo, Euso. Matteo Magi è un altro numero uno che consiglio vivamente alle
ragazze. È un amatore vecchio stile, di quelli che ti riempiono di attenzioni e
complimenti, 10 e lode a Matteo Magi. E poi, è approdato qui senza sapere una
parola di inglese ma nel giro di poco tempo ha avuto a che fare con Kate Perry
e la Formula 1. Matteo Magi, numero uno.
Marchino se n’è andato in
Quensland, Giuliano ci diamo un appuntamento prima di salutarci. Appena lo vedo
mi dice che deve beccare un tipo. Ok, capito. Un pomeriggio l’avevo aiutato a fare i pacchettini. Non avevo mai
visto tanta erba tutta insieme. E avevo conosciuto anche il boss, un vecchio irlandese con pochi denti in bocca, 50
anni portati male, la pelle bruciata dal sole, i capelli gialli e incolti. Ma
anche io! Non mi potevo innamorare di un giornalista, di un ricercatore, di
qualcuno che ha fatto tre tiri di maria giusto per provare e poi basta? Di
qualcuno che non ama troppo bere se non di tanto in tanto?
A Milano (prima di mettermi con
un ricercatore!) facevo la cameriera in una spaghetteria di Lambrate.
Frequentavo allora – nel senso di amico –
un tipo che tutti chiamavano il Rumenta. Il Rumenta aveva 40 anni, un
aspetto poco raccomandabile, spacciava principalmente cocaina. Non aveva il
telefono, in modo non farsi beccare, e ogni volta mi chiamava da cellulari
diversi. Viveva con sua madre e i suoi problemi respiratori in una casa
popolare a Rozzano. L’avevo seguito nei parchi di Milano nel cuore della notte,
nelle case di buoni acquirenti che gestivano locali di una certa rendita. Una
volta mi aveva detto, col suo accento cantinelante, Bimba, hai presente il tipo
di prima? Ecco, dimenticatelo. La settimana dopo era stato accoltellato fuori
un bar dalle parti di via Rombon. E lì era morto. Chissà che fine ha fatto, il
Rumenta. Quando telefono a Teresa, la mia vicina di casa di allora, mi dice che
nessuno l’ha più visto in giro. Si dice sia finito alle Canarie, da qualche
amico. A volte penso che non mi sono mai fatta mancare niente. Ogni tanto
qualcuno si chiede cosa diavolo ho intenzione di combinare nella vita. Per
quanto mi riguarda, la risposta è vivere. Non abbiamo molto tempo, prima della
morte. La morte è una realtà concreta, non dico niente di trascendentale, ma
nessuno ci vuole pensare. Io voglio godermi ogni singolo istante e dico grazie
alla crisi economica che ha impedito che mi trovassi un buon lavoro. Un buon
lavoro è come un buon fidanzato, è sempre un’impresa lasciarlo perché anche se
non lo ami più e non ti fa più felice il resto del mondo ti dice: cretina.
Arrivare. Non c’è fine all’arrivo, è un videogioco a livelli infiniti che ti
prende solo la scimmia di superarli. L’unico mio rammarico per il passare del
tempo è che ho bisogno di riposarmi più spesso. Anyway.
Sistemata la compra-vendita
andiamo finalmente a cena. Giuliano mi lascia scegliere un cinese, credo fosse
il primo posto dove abbiamo pranzato. Parliamo tanto, tutta la sera. E io rido,
rido da morire, con lui rido sempre da morire. Finiamo poi un un pub, non c’è
nessuno, due birre in bottiglia. Ci vorrà un bel po’ prima di rivedersi ancora.
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