lunedì 4 agosto 2014

Glielo dico o non glielo dico?

Di solito mi consiglio con le amiche prima di fare scelte di una certa mole. Mi sa che ne avevo parlato solo con mio padre. È che mi ero svegliata una mattina, dopo l’ennesimo sogno che si ripeteva. Anche io, in un certo senso, avevo sentito la chiamata, come Philipp, forse. Mia mamma mi ha insegnato che l’ultima parola va lasciata al cuore, che specie su certe cose è inutile pensarci troppo, che se il pensiero si ingolfa come una Panda non ti porta da nessuna parte. E come glielo dico?
Scrivendo, naturalmente. Anche se in realtà mi sarebbe piaciuto farlo di persona, ma quando? Giuliano mi aveva detto che sarebbe venuto a trovarmi ad aprile, ma vai a capire. Si era spostato a Cairn nel frattempo, aveva trovato lavoro in un ristorante, una cosa del genere. Il sogno, il sogno dunque. Era un po’ che a lui ci pensavo di meno e allora ecco che ovviamente me lo sogno, un bloody sogno dove io e lui siamo una cosa sola, dove non c’è bisogno di dire niente. E infiniti baci, e mille carezze.
Se ci pensate, ogni volta che ci si innamora ci si innamora di noi. In breve, ho sempre visto l’amore come una specie di Tesi-Antitesi-Sintesi, dove noi siamo la Tesi, l’altro è l’Antitesi e la Sintesi è quel che resta di noi dopo l’Antitesi. L’Antitesi ci parla di noi con un altro linguaggio, come le favole con i bambini. Giuliano era l’orco, era il lupo, il buco nero che se provi a guardarci dentro forse non fa più tanta paura.
E perché tocca a innamorarsi?
Perché l'amore è l'unica energia che rompe certe resistenze, come l'acqua calda rompe più facilmente le molecole di grasso dell'acqua fredda.

«Ma sei seria? Stai dicendo davvero?»
Mi fa lui. Non era importante che lui ricambiasse, cioè sì, ma non era quello il fine, oddio, in parte! Io lo sapevo che mi voleva bene. Speravo solo non se l'avesse presa. Che ne so, non si sa mai. E che diavolo, alla fine gli avevo solo detto che a forza di ragni sulle pareti e buchi nei calzini mi ero innamorata di lui.

«Tu sei scema proprio.»
Questa Simona, la mia amica.
«Se uno mi scrivesse una cosa del genere, io manco gli risponderei.»
«Lui la mia fantasia la capisce…»
«Ad ogni modo, se non si fa vivo per un po’ non ci rimanere male.»
«Addirittura? Oh, cielo. Vabbè, speriamo non l’abbia presa tanto tragicamente.»
Qualcuno bussa alla porta della mia camera. È Philipp.
«Posso entrare?»
«Certo, come posso aiutarti?», lo guardo pronta a ricevere un’informazione rapida e veloce, ancora con l’auricolare alle orecchie.
«Così, ero passato a trovarti… hai dato un’occhiata al libro che ti ho dato?»
«Uh. Certo. Sì, scusa, entra pure, Simocisentiamodopo.»
Dentro la mia camera sembrava una giraffa. Ah, già, non l’ho detto, Philipp nel frattempo mi aveva assegnato un’altra camera visto che sarei rimasta per parecchio tempo, una doppia-quasi-singola perchè l’altra ragazza, Paula, veniva solo pochi giorni a settimana.
«Come stai?»
«Bene, alla grande.»
«Come ti sembra la nuova stanza? Carina vero?»
«È favolosa, davvero, grazie infinite. Ho un tavolo tutto mio, finalmente, non potevi farmi regalo più grande!»
«Figurati.»
Rimane per un po’ in piedi, poi avvicina prudente per sedersi sul letto, dove gli faccio posto.
«Che ne pensi del libro che ti ho dato?»
«Sembri un ragazzo sveglio, come puoi leggere questa roba?»
«Questa roba, come la chiami tu, è il Bagavagita, uno dei più importanti testi di filosofia di Krisna.»
«Non è filosofia questa, mi ha dato un libro che dice cosa è giusto e cosa è sbagliato senza dare troppe spiegazioni, non ci vedo tanto amore-per-la-conoscenza. Però magari è colpa del mio inglese... hai letto la Montagna incantata di Thomas Mann? No? Assomiglia un po’ alla vita che facciamo noi qua. Thomas Mann lo conosci però, spero!»
Inizio col fargli un pippone infinito sui libri che non può fare a meno di leggersi e il film che non può fare a meno di guardare. Glieli scrivo addirittura. E lui sta lì, ad ascoltarmi, buono come un gatto.
«Dimmi che ti ha detto tua mamma quando sei andato via di casa per farti monaco!»
«Ancora con questa storia! Basta, smettila! Te l’ho detto, avevo preso la mia decisione, cosa avrebbe dovuto dire…»
«E adesso che ti dice?»
«Sono cinque anni che vivo da solo!»
«Cinque anni che vivo da solo, non hai nemmeno la barba…»
«Sì che ce l’ho, guarda qui.»
«Per me questa storia di farti monaco, bah… a me sembri sheel crazy e basta; potevi diventare un ladro, uno spacciatore, un serial killer che tanto era uguale.»
Ride e crolla la testa sulle mie gambe incrociate, reggendosi con una mano sulla mia caviglia.
«Sei un ragazzino, cosa vuoi avere capito dalla vita, 23 anni e basta, anzi ancora 22 per l’esattezza, ne farò io 31 una settimana prima di te.»
«Lo sai che spacciavo quando stavo a Berlino? Cioè, così, tanto per arrotondare… e passavo giornate intere a suonare il piano e a calarmi di funghetti e di acidi.»
«Te l’ho detto, t’ho inquadrato subito… potrei ribattere con un’altra battuta, ma lasciamo stare. Che tristezza però, sempre la droga, non sapete divertirvi in nessun altro modo e avete tutto. Poi all’altro estremo la preghiera, la solitudine e l’astinenza. Lo trovo banale.»
«Tu non hai preso mai niente?»
«Ho provato giusto un paio di cose, le più popolari, acidi e funghetti non so nemmeno che forma hanno…»
«Ti assicuro che è sensazionale!»
«C’è anche un cretino che conosco che dice che chi assume droghe è più intelligente, ma lasciamo perdere...»
Philipp intanto roteava la testa e si stirava le spalle.
«Ho un mal di collo questi giorni, ci vorrebbe un bel massaggio…»
«Eh lo so, anche a me mi viene ogni tanto il torcicollo, avrai dormito storto. Su Youtube ci sono un sacco di video per farsi passare il mal di schiena, funzionano, io ho fatto alcuni esercizi per la mano, adesso però è meglio che la tengo a riposo...»
«Ti fanno male le spalle adesso?»
«No, tutto a posto. Che ore sono?»
«Sono le sei passate, forse dovremmo andare a cena. Senti, domani sera facciamo il falò, ci vieni?»