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La mia casa temporanea si trova a Brunswick, East Melbourne,
e il tassista di colore che mi ci porta quando gli dico che sono italiana mi fa
parlare al telefono con suo cognato che ha vissuto per cinque anni a Napoli.
Ciao, como stai? Di dove sei? Io sono lavorato a Napoli e a Milano col camion,
tu conosci lago di Como?
Non pago troppo per il taxi e il quartiere sembra carino,
casette monofamiliari in legno e graziosi alberelli. Il ragazzo che mi ospita
si chiama Genna, è un tipo di Bologna amico di un mio amico che mi ha passato
il suo contatto. All’aprirsi della porta, Genna mi viene incontro e mi
abbraccia. La sala sembra un accampamento, ci sono zaini ovunque per terra.
Sono dei romani Marco e Filippone e del bolognese Giuliano, mentre Domenico
dalla Calabria e Andrea di Verona vivono lì con Genna. Tabacco sul tavolinetto,
cartine, posaceneri che strabordano. Genna dice di passarsela bene qui a
Melbourne, le paghe sono buone, c’è possibilità di carriera, anche se non sa
ancora benissimo cosa farà. Sono tutti cuochi o quasi. Filippone ha un
ristorante a Roma ed è venuto in Australia per aprire un’attività tutta sua;
spera di portarsi dietro la sua famiglia, ma la via è lunga e faticosa, bisogna
prima trovare lavoro e poi sperare che il boss ti faccia da sponsor per il
visto permanente. E anche lì sono anni e anni di attesa, c’è la scuola da fare
con lo student visa, che ti permette di studiare e non di lavorare, dare lo
IELTS, ma soprattutto c’è da rimetterci un sacco di soldi. Io dico agli altri
che non me ne frega niente di restare in Australia e nemmeno di prendere il
visto per il secondo anno. Sono qui all’avventura, poi quello che dovrà
succedere succederà. A dire il vero avevo contattato un po’ di aziende
dall’Italia per trovare qualcosa nel campo dell’illustrazione o della grafica.
Mi avevano risposto in un paio, gli piacevano le mie cose, ma il mio visto non
gli andava bene. Alla fine non mi lamento, credo di avere capito ormai che se
una parte di me sogna un lavoro e una relationship stabile, l’altra, gesù, non
ci posso fare niente, va per la sua, e gli piace essere di strada e vagabonda.
E qualcuno mi disse una volta “finché non allinei i desideri continuerai a
vivere come vivi, e forse va bene così”.
Mi apro una birra, cavoli che sensazione fantastica. Sono
quasi le due di notte, non mi sento troppo stanca.
«Giuliano dov’è?», chiedo io, è lui che mi ha passato il
contatto di Genna, «È fuori a far serata con Marchino, tra un po’ dovrebbero
arrivare».
E arrivano infatti a minuti e ci facciamo delle gran feste.
Sia lui che Marchino sembrano sballatini, «Che vi siete presi?», «Md’, la coca
qui costa troppo». Ci mettiamo in cucina, di là in sala gli altri avevano
spiegato i sacchi a pelo e si erano messi a dormire.
«Vuoi una striscettina anche te, Baldi?».
Giuliano l’avevo conosciuto al mare d’estate, a Pesaro, era
ferragosto. Ci eravamo parlati appena, mi era sembrato carino, l’aria un po’
tormentata, e fine. Poi discorrendo con amici ecc, quando si era sparsa la voce
che sarei andata in Australia qualcuno mi aveva ricordato che lui stava lì da
un pezzo e che avrebbe potuto darmi una mano. Avevo altri amici a Melbourne a
dire il vero, pesaresi del Bar Odeon addirittura. C’era però qualche
complicazione in termini di alloggio e via discorrendo, nessuno di loro aveva
la casa, erano tutti ospiti di qualcun altro. That’s Italia!
A una certa andiamo a dormire, apro il sacco a pelo anche io
e mi stendo su un materassino da mare. Prenderei anche sonno se non fosse per
l’i-Pad di Filippone che vibra e si accende ogni due minuti perché gli arrivano
i messaggi da qualche applicazione. Che storia, comunque, mi dico. Siamo in
quattro in sala a dormire, chi sul divano chi per terra. Poi il sonno mi vince.
L’indomani avrei avuto un sacco di cose da fare, dalla tessera sanitaria
all’aprirmi il conto corrente, farmi una nuova sim card e cercare lavoro.
Giuliano si sveglia abbastanza presto e io pure. Decidiamo
di beccarci nella City con Marchino che la sera prima se ne era tornato a
dormire in ostello. C’è anche Filippone con noi, l’uomo-ansia lo chiamo io, un
caro ragazzo ma non si regge, parla di continuo, non sta zitto un secondo. In
gruppo, così, ce ne andiamo in giro. Una banda di immigrati, ce l’abbiamo
scritto in faccia, si vede lontano un miglio. Italiani, ci sgamiamo subito.
Espressione del volto, modo di vestire, modo di pettinarsi, di camminare. I
crestini ingellati, le magliette attillate e griffate, i jeans finto-consumati.
Melbourne è una piccola Italia. Puoi venire in Australia senza parlare un
cavolo d’inglese, basta che conosci qualcuno che sicuramente conosce qualcun
altro che ti sbatte a fare il lavapiatti in Lygon St e il gioco è fatto. È più
facile trovare lavoro per un italiano che non sa l’inglese che per un inglese o
un tedesco che lo parla bene. Perché se gli inglesi e i tedeschi preferiscono
viaggiare, per ritornare poi, allo scadere del visto, in madre patria, per
l’italiano è diverso. L’italiano viene in Australia sperando di finirci per
sempre, cerca il permanent disperatamente, si piazza in una grande città come
Melbourne e Sydney e da lì non si muove. Il suo obiettivo è mettere via i
soldi, prendersi lo student ecc come dicevo prima. Lavora anche 10, 12 ore al
giorno o più, l’importante è non tornare in Italia. Non so quanto sia un
desiderio autentico e meditato quello di restare qua a ogni costo; a volte ho
l’impressione che sia una cosa come “visto che tutti corrono, corro anche io!”.
Ovviamente non è per tutti così, c’è anche gente vagabonda come me.
Grazie al cielo Filippone si stacca per vedere un alloggio,
così io, Giuliano e Marchino ce ne andiamo a zonzo per la città. È carina
Melbourne. C’è il Victoria Market, un mercato coperto dove puoi acquistare di
tutto a prezzi più o meno contenuti. Ci sono un sacco di stands che vendono
prodotti italiani, dalla mozzarella di bufala ai peperoncini sott’olio. La
Little Italy più famosa di Melbourne è Lygon Street. È lì che sta Brunetti, per dire. C’è un negozio osceno che si fa subito
notare per le canzoni di Eros Ramazzotti e Gigi D’Alessio sparate a tutto
volume, ovviamente piena di souvenir, maglie di Del Piero, bandierine, gadget e
statuette, pieno di merda insomma. Allora a sto punto è meglio Mediterranea, un piccolo supermercato italiano sulla Sydney Road,
in Brunswick, dove però una Bialetti per due ti costa una cosa come 36$.
Coi ragazzi andiamo a fare un po’ di spesa. Ci sono parecchi
centri commerciali nella City, grandissimi, ti ci perdi, labirinti a tre o
quattro piani, l’ultimo con l’erba sintetica che simula un giardino ameno, il
primo sotto terra. Kmart è una catena
super cheap, ti compri le magliette a 3$, addirittura le scarpe a 3,50$ ma
quando te le levi i tuoi piedi hanno un odore mortifero. Sul momento non mi
serve niente, giusto un adattatore. Col fatto di essere una backpacker, zaino
in spalla insomma, so bene che ogni cosa acquistata ha un suo peso. E pesa non
solo sulla coscienza spendere soldi inutilmente ma soprattutto sul groppone. Un
sacco di roba andrà buttata, regalata, reciclata.
A una certa andiamo a mangiare qualcosa in una tavola calda
asiatica. È piena Melbourne di asiatici, anzi, nella City vedi per lo più
asiatici, gli australiani stanno nascosti si vede, o escono di notte come i
coackroaches, gli scarafaggi ovvero. Rieccolo, Filippone, l’uomo-ansia, parla
anche quando mastica. Non ce la fa a esprimere un concetto in due parole, deve
metterci per forza la salsina intorno, allungata certamente. A me viene da
vomitare. Proprio non c’è verso di mangiare, manco la colazione ho fatto, come
se un elastico mi stringesse alla bocca dello stomaco. Giuliano carinello
insiste e così mi prendo un brodino. Credo che sia per il jet lag, comunque.
Finiamo con i caffè. Siamo sulla Swanston dove si vedono
artisti di strada ogni dieci metri. Anche in questo caso per la maggior parte
sono asiatici e trovi dal cantante pop cinese, all’illusionista indonesiano con
la sfera di cristallo fino a una fuori di testa acconciata alla Sailor Moon che
canta con una carota in mano.
Noi intanto camminiamo e camminiamo. Non torniamo a casa per
niente, Genna ci raggiunge in un pub. Siamo a fianco del Backpackers Hostel,
l’ostello più popolare di Melbourne. Un sacco di gente vive per mesi e mesi
negli ostelli, di solito finché non trova lavoro, ma non è detto. Giuliano mi
racconta la sua unica vicenda sentimentale australiana, una ragazza di Treviso
che di mestiere fa la spogliarellista. Lui vendeva l’erba, lei la comprava.
Cominciano a frequentarsi, tour de force sotto le lenzuola, una tortura cinese
(cit.).
«E poi?».
«Lei è matta come un cavallo, quindi non poteva funzionare».
Ordininiamo un paio di jug. Scopro qui cosa sono le jug,
caraffone di birra decisamente più economiche del bicchiere. Una birra in media
la paghi 10$ a Melbourne. La birra e gli alcolici in generale ti salassano in Australia.
E non è che puoi prenderli al supermercato. Nei supermercati non si vendono
alcolici devi andare da Liquorland e
comunque la lattina più economica costa 3$. Se ti vuoi ‘mbriagare con poco devi
comprare il vino nella scatola di cartone, ci stanno mi pare 12 litri e costa
una decina di dollari. O le bottiglie in vetro da Aldi, tipo Lidl da noi, e con 3, 5 dollari te la puoi cavare.
Dopo un paio di bevute sono già su di giri. Accanto a noi un
tavolo di cinesi celebrano qualcosa. Mi faccio avanti, sfido uno di loro a
braccio di ferro. Ovviamente perdo, ma era tanto per fare scena, e questa mia
prodezza finisce in formato digitale nel cellulare di un paio di ragazze di
Hong Kong.