lunedì 19 maggio 2014

La gente mi regala la droga, parte I.


Il tipo dell’ostello ci ha dato una camerata da sedici, i letti non sono a castello però, e con quelle pareti alte sembra un vecchio ospedale. Quando entro, Giuliano dorme rannicchiato con le cuffie anti-rumore e la tuta da operaio. Non so come mi viene, mi ritaglio un posticino accanto a lui, anche se il mio letto è davanti al suo. Lo sveglio e si è spostato, ecco, lo sapevo, ma che mi è saltato in mente?
Invece mi fa spazio, così che possa entrarci anche io.
«Che succede là fuori?»
In camera c’è un casino di dio, ragazzi che entrano ed escono, sono le sei di pomeriggio, di fuori c’è la polizia, hanno preso un ragazzo, c’è stata una specie di rissa, non ho capito per cosa.
Giuliano mi fa ala con il braccio, così appoggio la testa sulla sua spalla. Mi dice che ha lavorato tutto il giorno, che non ne può più, io penso che lì così con lui sto bene. Entra in quel momento un tizio col naso spaccato, seguito da altri due, ci preme contro una pezzola per fermare il sangue. Ci tiriamo su per vedere ma non si capisce, anche se i tre parlano romano.
«Che vuoi fare Baldi?»
Nel senso di “adesso”, se mi va di guardare un film al computer. Non lo so, e stiro le braccia verso l’alto, e mentre ci penso, Giuliano s’infila nel mio spazio. La mia faccia è tanto vicina alla sua di poco così. Gli accarezzo i capelli e ho una voglia matta di baciarlo.
«Che fai?»
Lo vedo abbassare gli occhi per frugarsi in tasca e tirare fuori un pezzetto di mdma da sniffare.
«Così mi ribecco un po’.»
Mi sveglio subito dopo averlo guardato dritto negli occhi suoi belli e detto Ma che sei scemo?
È anche tardi poi. Maledette pennichelle del pomeriggio. Se non fosse che Albion street per farla tutta, a piedi, ci vogliono una decina di minuti abbondanti.

Al lavoro arrivo in orario, grazie al cielo. Mica che succede chissà che, però devo timbrare il cartellino (in realtà inserire il mio codice al computer, ma il principio è lo stesso). Sono stanca. Stanca, stanca, stanca. È dura la vita da lavapiatti. Se penso poi alle notti che mi sveglio nel sonno per le braccia completamente addormentate, le dita che mi formicolano, il dolore ai polsi. L’acqua nel lavabo è color rosso ruggine, torbida e scura, non si vede il fondo. Anche a me capita spesso di non vedere il fondo, quanto durerà ancora? Nel lavabo, almeno, so per certo che non ci troverò altro che teglie, piatti, pentole e coltelli, di sucuro non un quadrifoglio o una lettera d’amore.
I cuochi per le dieci e mezza sono fuori della cucina. Rimango sola e in santa pace, con tutto da lavare. Non è domenica, per fortuna. La domenica sera devo svuotare tutta la camera frigo e pulire le ante e i ripiani, e rimettere tutto dentro. Le friggitrici sono sempre ricoperte d’olio e il piano cottura è comunque da smontare per mettere a bagno con la soluzione che corrode il grasso bruciato. Trascinato poi i sacchi della spazzatura nel seminterrato per svuotarli. I coackroaches mi sentono arrivare e mi passano davanti terrorizzati, scappando via sulle loro gambette. Non mi resta che buttare acqua bollente e saponata sul pavimento, sfregare con lo spazzolone e togliere l’acqua e la schiuma con un attrezzo simile a quello che hanno i benzinai per pulire i vetri. Sembra di fare la barba a un orco.
È mezzanotte. In strada c’è un’aria meravigliosa. È sabato sera. I ragazzi in strada ridono e ammiccano alle ragazze orientali che sorridono in singulti interrotti sotto le loro manine bianche. Mi sono cambiata la maglietta prima, e le scarpe, ma continuo ad avere addosso l’odore del Lounge Bar. Radio Kiss stasera trasmetteva hip-hop tutta la notte. Ah, non ve l’ho detto, c’è una radio sopra il Lounge Bar, esattamente dove il Lounge Bar tiene il magazzino con le spezie e gli inscatolati, dove teniamo le sedie accatastate, dove i dipendenti si cambiano prima di andare a lavorare. Ci sono due grandi sale, per essere precisi. In una c’è il dj che mette la musica per il pub, nell’altra Radio Kiss. Ci sono a tutte le ore del giorno anche loro, mi sorridono vedendomi arrivare con i pacchi di roba quando faccio il delivery, e ogni tanto qualcuno di loro mi apre la porta vedendomi arrivare. C’è un mio amico che ci lavora ogni tanto, ma ancora non lo conosco.
Alla fermata del tram mi siedo, finalmente. Vedo poi un ragazzo che mi pare di conoscere.
«Hey, com’è? Caterina, giusto?»
Avevo conosciuto Mattia a una festa a casa di amici la scorsa settimana. Anche lui ha appena staccato dal lavoro. Anche lui non sa bene cosa fare, in generale intendo, se rimanere in Australia o meno, se girare il mondo, se trovare pace da qualche parte. Tira fuori poi dalle tasche un sacchetto di plastica con dei biscotti.
«Ho sempre la mia scorta personale», dice, «li ho fatti io».
Ringrazio, lì per lì non capisco, poi lo guardo, ride, mi riguarda e capisco.
«È la prima volta che provo un biscotto alla maria! Non è che poi dopo sto male?»
Ormai è andata, di sapore intanto è buono. Mattia mi saluta e sparisce nel tram 56 come un angelo della notte. Nel frattempo Genna mi manda un messaggio sul cell che è con Domenico in un pub in Brunswick, sulla Sydney Road. Stasera butta bene, mi dico, Giuliano non c’è che è con la tipa. Dico anche a Nicoletta di raggiungermi, è con Julia, una ragazza spagnola. Sono ancora sul tram, ancora non sento niente.
I ragazzi sono in fila fuori dal locale. Racconto ai ragazzi quello che mi è appena successo, «Grande Cate, te sei il nostro mito!». Comincio a sparare una marea di cazzate e attacco bottone a quelli davanti a noi. Facciamo amicizia e intanto ci scaldiamo prima di entrare.
Poi ho una specie di capogiro, come se non mi sentissi bene. Un attimo sudo freddo, saranno gli effetti del biscotto, mi prendo male un secondo. In pratica se la fumi ti sale subito, se la mangi ci vuole un po’. Però, cacchio, amazing!
Se devo essere sincera, non è che mi serve il biscotto alla maria per divertirmi e per fare la cretina. È più la situazione che mi esalta, essere con i miei amici a fare i coglioni. Anche qui, siamo i più brutti di tutti, tranne Nicoletta e Julia, loro si erano addobbate tutte per il Sabato sera. Mi sento un uomo di mare, un pirata di quei film ambientati nell’ ‘800, marinai spavaldi che hanno girato il mondo, che non hanno paura di niente, specie se devono fare i ganzi con qualche donzella. Nel mio caso non si tratta di donzelle, ma strizzo l’occhio a sandroni impomatati alti due metri e più sono belli, più cavolo danno soddisfazione. Non c’erano poi chissà quali manzi quella sera. Oddio, manzi sì, non “interessanti” però. Uno, il più b’lino, mi inchino al suo cospetto e lo aggancio sottobraccio in una sorta di danza irlandese, anche se davano i Prodigy. Poi lo smollo subito con Smell like teen spirit dei Nirvana. Ma quanto c’hai, 16 anni?
Genna, Domenico e io ci abbracciamo e zompiamo in mezzo alla pista, indisponendo qualcuno. Vorrebbero un po’ di mdma, dicono, loro, che ve ne frega, rispondo io, raga, bisogna che cominciate anche a divertirvi senza. Il belloccione mi solleva da dietro, io mi divincolo e gli faccio la pernacchia prima di scappare via, lui mi sorride da lontano, pensa che sono simpatica.

Sono fuori come un culo!, urlo agli altri, che scoperta questi biscottini. Mi prendo una birra, è fresca, ghiacciata, va giù che è una meraviglia. Sono tutta sudata e accaldata, penso che mi sto divertendo da morire e che questo tempo non ha prezzo. Si sgobba tanto per i soldi, per i traguardi, quando il tempo è la sola cosa che non potrai mai permetterti di comprare o riavere indietro. Dicono della verginità, che quando la perdi poi la rivuoi, ma sinceramente di quello non me ne frega proprio niente, anzi, semmai l’incontrario.

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