Il tipo dell’ostello ci ha dato una camerata da sedici, i letti non sono a castello però, e con quelle pareti
alte sembra un vecchio ospedale. Quando entro, Giuliano dorme rannicchiato con
le cuffie anti-rumore e la tuta da operaio. Non so come mi viene, mi
ritaglio un posticino accanto a lui, anche se il mio letto è davanti al suo.
Lo sveglio e si è spostato, ecco, lo sapevo, ma che mi è saltato in mente?
Invece mi fa spazio, così che possa entrarci anche io.
«Che succede là fuori?»
In camera c’è un casino di dio, ragazzi che entrano ed escono, sono le sei di pomeriggio, di
fuori c’è la polizia, hanno preso un ragazzo, c’è stata una specie di rissa,
non ho capito per cosa.
Giuliano mi fa ala con il
braccio, così appoggio la testa sulla sua spalla. Mi dice che ha lavorato tutto
il giorno, che non ne può più, io penso che lì così con lui sto bene. Entra in
quel momento un tizio col naso spaccato, seguito da altri due, ci preme contro
una pezzola per fermare il sangue. Ci tiriamo su per vedere ma non si capisce, anche se i tre parlano romano.
«Che vuoi fare Baldi?»
Nel senso di “adesso”, se mi va
di guardare un film al computer. Non lo so, e stiro le braccia verso l’alto, e
mentre ci penso, Giuliano s’infila nel mio spazio. La mia faccia è tanto vicina
alla sua di poco così. Gli accarezzo i capelli e ho una voglia matta di
baciarlo.
«Che fai?»
Lo vedo abbassare gli occhi per
frugarsi in tasca e tirare fuori un pezzetto di mdma da sniffare.
«Così mi ribecco un po’.»
Mi sveglio subito dopo averlo guardato dritto negli occhi suoi belli e detto Ma che sei scemo?
È anche tardi poi. Maledette
pennichelle del pomeriggio. Se non fosse che Albion street per farla tutta, a
piedi, ci vogliono una decina di minuti abbondanti.
Al lavoro arrivo in orario,
grazie al cielo. Mica che succede chissà che, però devo timbrare il cartellino
(in realtà inserire il mio codice al computer, ma il principio è lo stesso).
Sono stanca. Stanca, stanca, stanca. È dura la vita da lavapiatti. Se penso poi
alle notti che mi sveglio nel sonno per le braccia completamente addormentate,
le dita che mi formicolano, il dolore ai polsi. L’acqua nel lavabo è color
rosso ruggine, torbida e scura, non si vede il fondo. Anche a me capita spesso
di non vedere il fondo, quanto durerà ancora? Nel lavabo, almeno, so per certo
che non ci troverò altro che teglie, piatti, pentole e coltelli, di sucuro non
un quadrifoglio o una lettera d’amore.
I cuochi per le dieci e mezza
sono fuori della cucina. Rimango sola e in santa pace, con tutto da lavare. Non
è domenica, per fortuna. La domenica sera devo svuotare tutta la camera frigo e
pulire le ante e i ripiani, e rimettere tutto dentro. Le friggitrici sono
sempre ricoperte d’olio e il piano cottura è comunque da smontare per mettere a
bagno con la soluzione che corrode il grasso bruciato. Trascinato poi i sacchi
della spazzatura nel seminterrato per svuotarli. I coackroaches mi sentono
arrivare e mi passano davanti terrorizzati, scappando via sulle loro gambette.
Non mi resta che buttare acqua bollente e saponata sul pavimento, sfregare con
lo spazzolone e togliere l’acqua e la schiuma con un attrezzo simile a quello
che hanno i benzinai per pulire i vetri. Sembra di fare la barba a un orco.
È mezzanotte. In strada c’è
un’aria meravigliosa. È sabato sera. I ragazzi in strada ridono e ammiccano
alle ragazze orientali che sorridono in singulti interrotti sotto le loro
manine bianche. Mi sono cambiata la maglietta prima, e le scarpe, ma continuo
ad avere addosso l’odore del Lounge Bar. Radio Kiss stasera trasmetteva hip-hop
tutta la notte. Ah, non ve l’ho detto, c’è una radio sopra il Lounge Bar,
esattamente dove il Lounge Bar tiene il magazzino con le spezie e gli
inscatolati, dove teniamo le sedie accatastate, dove i dipendenti si cambiano prima
di andare a lavorare. Ci sono due grandi sale, per essere precisi. In una c’è
il dj che mette la musica per il pub, nell’altra Radio Kiss. Ci sono a tutte le
ore del giorno anche loro, mi sorridono vedendomi arrivare con i pacchi di roba
quando faccio il delivery, e ogni tanto qualcuno di loro mi apre la porta
vedendomi arrivare. C’è un mio amico che ci lavora ogni tanto, ma ancora non lo
conosco.
Alla fermata del tram mi siedo,
finalmente. Vedo poi un ragazzo che mi pare di conoscere.
«Hey, com’è? Caterina, giusto?»
Avevo conosciuto Mattia a una
festa a casa di amici la scorsa settimana. Anche lui ha appena staccato dal
lavoro. Anche lui non sa bene cosa fare, in generale intendo, se rimanere in
Australia o meno, se girare il mondo, se trovare pace da qualche parte. Tira
fuori poi dalle tasche un sacchetto di plastica con dei biscotti.
«Ho sempre la mia scorta
personale», dice, «li ho fatti io».
Ringrazio, lì per lì non capisco,
poi lo guardo, ride, mi riguarda e capisco.
«È la prima volta che provo un
biscotto alla maria! Non è che poi dopo sto male?»
Ormai è andata, di sapore intanto
è buono. Mattia mi saluta e sparisce nel tram 56 come un angelo della notte.
Nel frattempo Genna mi manda un messaggio sul cell che è con Domenico in un pub
in Brunswick, sulla Sydney Road. Stasera butta bene, mi dico, Giuliano non c’è
che è con la tipa. Dico anche a Nicoletta di raggiungermi, è con Julia, una
ragazza spagnola. Sono ancora sul tram, ancora non sento niente.
I ragazzi sono in fila fuori dal
locale. Racconto ai ragazzi quello che mi è appena successo, «Grande Cate, te
sei il nostro mito!». Comincio a sparare una marea di cazzate e attacco bottone
a quelli davanti a noi. Facciamo amicizia e intanto ci scaldiamo prima di
entrare.
Poi ho una specie di capogiro, come
se non mi sentissi bene. Un attimo sudo freddo, saranno gli effetti del
biscotto, mi prendo male un secondo. In pratica se la fumi ti sale subito, se
la mangi ci vuole un po’. Però, cacchio, amazing!
Se devo essere sincera, non è che
mi serve il biscotto alla maria per divertirmi e per fare la cretina. È più la
situazione che mi esalta, essere con i miei amici a fare i coglioni. Anche qui,
siamo i più brutti di tutti, tranne Nicoletta e Julia, loro si erano addobbate
tutte per il Sabato sera. Mi sento un uomo di mare, un pirata di quei film
ambientati nell’ ‘800, marinai spavaldi che hanno girato il mondo, che non
hanno paura di niente, specie se devono fare i ganzi con qualche donzella. Nel
mio caso non si tratta di donzelle, ma strizzo l’occhio a sandroni impomatati
alti due metri e più sono belli, più cavolo danno soddisfazione. Non c’erano
poi chissà quali manzi quella sera. Oddio, manzi sì, non “interessanti” però.
Uno, il più b’lino, mi inchino al suo cospetto e lo aggancio sottobraccio in
una sorta di danza irlandese, anche se davano i Prodigy. Poi lo smollo subito
con Smell like teen spirit dei Nirvana.
Ma quanto c’hai, 16 anni?
Genna, Domenico e io ci
abbracciamo e zompiamo in mezzo alla pista, indisponendo qualcuno. Vorrebbero
un po’ di mdma, dicono, loro, che ve ne frega, rispondo io, raga, bisogna che
cominciate anche a divertirvi senza. Il belloccione mi solleva da dietro, io mi
divincolo e gli faccio la pernacchia prima di scappare via, lui mi sorride da
lontano, pensa che sono simpatica.
Sono fuori come un culo!, urlo
agli altri, che scoperta questi biscottini. Mi prendo una birra, è fresca,
ghiacciata, va giù che è una meraviglia. Sono tutta sudata e accaldata, penso
che mi sto divertendo da morire e che questo tempo non ha prezzo. Si sgobba
tanto per i soldi, per i traguardi, quando il tempo è la sola cosa che non
potrai mai permetterti di comprare o riavere indietro. Dicono della verginità,
che quando la perdi poi la rivuoi, ma sinceramente di quello non me ne frega
proprio niente, anzi, semmai l’incontrario.

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