lunedì 12 maggio 2014

Couchsurfing.org non è un sito di incontri.


Collingwood è il quartiere dei fricchettoni non solo per l’Abbotsford Convent ma anche per la Sophia Mundi Steiner School, lo Yarra Bend Park e le iniziative che organizzano al suo interno. A mostrarmi il quartiere è un tale Holly Dance che conosco tramite Couchsurfing. Suppongo che Holly Dance sia il suo nome d’arte, ma non gli chiedo come si chiami veramente, anche perché dopo quel pomeriggio trascorso insieme non ci siamo più rivisti. Dico al lavoro che avrei incontrato questo tizio contattato tramite couchsurfing, ma loro fanno i deficienti, se esci con un ragazzo è per andarci a letto eccetera, per quale motivo sennò? Gli dico che non so nemmeno che faccia abbia, ti piacciano gli appuntamenti al buio allora? Provo a spiegargli che couchsurfing.org non è un sito di incontri, ti mette in contatto con altri viaggiatori, di solito per chiedere ospitalità per qualche notte, oppure per conoscere qualcuno del posto che stai visitando, lieto di farti da guida. Per quanto, se devo dirla tutta, un sacco di tipi mi hanno detto che usano il couchsurfing per rimediare un po’ di sesso mentre altri, più romantici, ci hanno trovato la fidanzata. Tralasciando l’ultimo punto, gli chef non sembrano soddisfatti della mia spiegazione anche se dopo averci pensato un po’ mi rispondono cool.
Holly Dance ha circa 45 anni e si chiama così perché da lezioni di danza creativa (boh!) al Convent. È un tipo piuttosto strano, non scende quasi mai dalla bici perché è caduto non so dove, e si è fatto male al ginocchio. La sua due ruote sembra equipaggiata per la traversata del deserto, ha un fanale grosso quanto un faro, adesivi catarifrangenti ovunque e un grosso portapacchi coperto da un telo di plastica che funge da bauletto. Non mi capisce bene quando parlo e ogni tanto ne sembra infastidito. Tutto sommato è un uomo gentile e mi porta a fare una lunga passeggiata allo Yarra Bend Park. Lo Yarra River è ancora una bisciolina, prima di ingrossarsi attraversando Melbourne, e sfociare nella Hobson Bay. Passeggiamo lungo la sponda, nei graziosi viottoli, dove veniamo superati da jogger di tutte le età, raggiungiamo il Convent, e qui finalmente parcheggia la bicicletta. C’è una specie di mensa dove si può consumare lasciando un’offerta e dentro ci lavorano dei volontari. Sembra di essere tornati indietro negli anni ’70: ci sono capelloni, rasta, ragazze con la coroncina di fiori in testa, abiti consumati di seconda mano, India e Equo-solidale style. Anche in questo caso, Holly e io siamo i più brutti di tutti, ma va bene uguale. Dopo aver consumato una sparuta cena – preparata da Holly stesso, vegano – entriamo in questo ex-convento occupato da artisti. Detta così magari vi immaginate un postaccio lasciato allo stato brado con gente fumata a ogni angolo: invece è tenuto benissimo, conserva in tutto e per tutto l’ordine e il silenzio di un convento. Al secondo piano, mi pare, ci sono gli atelier. Credo che il tutto sia gestito da una qualche associazione, e puoi fare domanda per tenere lezioni, workshops, vendere le tue opere eccetera. Uno spettacolo! Insomma, tante attività a basso costo, uno spazio a disposizione di tutti. Al Convent c’è anche la sede dell’Associazione Illustratori Australiana. Ho fatto domanda per aderire, mi hanno preso come Gold Member, però dovrei pagare un $ 200 all’anno, e per come sono messa, al momento è meglio di no. Poi non ha tantissimi membri, la pagina facebook ha sui 500 I Like contro i 5.800 dell’Associazione Illustratori italiana. Ci sono gli scrittori anche, i musicisti, e via discorrendo.
Riprendiamo il tour di esplorazione e attraversiamo un chiostro che di notte diventa un cinema all’aperto. E poi un palco nel parco per i concerti. Adesso è estate, è una meraviglia andarci, purtroppo io non potrò mai perché lavoro sempre, e siccome quando sono off sono cotta, preferisco restarmene a Brunswick, al massimo mi sposto in CBD.
Quella che da fuori appare come un cottage inglese di fine ‘700 è la Sophia Mundi Steiner School. Le scuole steineriane seguono gli ideali pedagogici di Rudolf Steiner secondo cui l’insegnamento dovrebbe provvedere a un’educazione a tutto tondo del bambino, quindi non solo nozionistica. Nel piano di studi c’è sì la matematica, le scienze, l’inglese eccetera ma c’è anche falegnameria, un sacco di teatro, canto, arte, attività che permettono all’allievo di avere un’esperienza diretta con la vita e con se stesso. Pensate che nei primi anni di scuola (dura fino 18 anni) nemmeno vengono assegnati i voti ma semplicemente compilato un quadro della personalità e delle attitudini del ragazzino. Qui se ne volete sapere di più: Pedagogia Waldorf.
Le scuole di Steiner sono anche in Italia. In quella di Milano c’era andato un mio amico dell’Università, avevo avuto un colpo di fulmine lì per lì, poi visto un giorno come si faceva trattare dalla morosa mi era passata subito.
Grande giornata con Holly Dance, grazie couchsurfing. Io continuo a dire che è l’ideale per conoscere bene un posto; sì perché se ti circondi solo di backpecker, loro sono altri disperati come te e magari la ragionano da europei eccetera, comunque, in generale, uno del posto resta uno del posto per quanto strambo ed eccentrico possa essere.

Posso ritenermi felice. Mi stanno capitando belle cose in questa Australia. Sto conoscendo un sacco di gente, capisco ogni giorno qualcosa in più di questo paese; e sto apprendendo una lingua che mette all’inizio quello che la mia mette alla fine. Se io, per esempio, dico “è passata una donna bionda, grassa e americana”, la prima informazione è che è passata una donna. Gli anglosassoni avrebbero detto invece subito che era grassa. Questo non significa che gli italiani sono più educati, anche perché l’occhio col cervello mettono insieme velocemente gruppi di parole; ma per quel miliardesimo di miliardo di secondo di differita, l’italiano fa prima il gioco delle ombre cinesi per svelarti i dettagli secondo quanto più gli piace, mentre l’inglese nasconde tutto dietro un separè dal quale qualcuno o qualcosa comincia a lanciare grosse mutande taglia XL, per scoprire solo alla fine a chi appartenevano. Oppure, per non essere ingiusti, l’italiano ti mette sotto il mento un bel piatto di polenta senza niente e il sugo ce lo versano sopra dopo, l’inglese ti dice “chiudi gli occhi e apri la bocca” e tu devi indovinare che cos’è.
Un’altra cosa che mi fa impazzire è il genere neutro per un sacco di parole. Ecco, credo che la più crudele sia friend.
«Dove te ne vai stasera?»
«Esco con friend
«Ma friend chi?»
Noi italiani, lo sappiamo bene, che di come si chiama friend non ce ne può fregar di meno. A noi interessa se è UN friend o UNA friend. E purtroppo la questio si fa delicata quando vuoi girarci attorno senza apparire troppo esplicito:
«Ma perché? Sarai mica geloso?»
L’ho chiesto agli inglesi e agli australiani, e ogni volta non fanno mai una piega e ti rispondono “si capisce dal contesto”, che in parole povere significa che non si fanno tante para a chiederti con chi diavolo esci la sera. Troia.

Il contesto, poi. Sul forum di Word Reference quando fai le domande e chiedi le cose, il contesto è un incubo, non sei mai sufficientemente esaustivo. I love you lo dici a tua madre. Non perché mi sia offesa, ma perché è vero. Potresti amarmi come una sorella, volermi un bene immenso, ma se sei fall in love with me è diverso, me lo devi dire, o non ti bacerò mai sulla bocca. E quando un giorno, ormai da Sydney, scriverò a Giuliano, il messaggio non sarà “mi sa tanto che I love you” ma “mi sa tanto che sono fall in love with you”. Ma questa è un’altra storia, prima di arrivarci c’è tempo.

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