lunedì 31 marzo 2014

8 Novembre 2013


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La mia casa temporanea si trova a Brunswick, East Melbourne, e il tassista di colore che mi ci porta quando gli dico che sono italiana mi fa parlare al telefono con suo cognato che ha vissuto per cinque anni a Napoli. Ciao, como stai? Di dove sei? Io sono lavorato a Napoli e a Milano col camion, tu conosci lago di Como?
Non pago troppo per il taxi e il quartiere sembra carino, casette monofamiliari in legno e graziosi alberelli. Il ragazzo che mi ospita si chiama Genna, è un tipo di Bologna amico di un mio amico che mi ha passato il suo contatto. All’aprirsi della porta, Genna mi viene incontro e mi abbraccia. La sala sembra un accampamento, ci sono zaini ovunque per terra. Sono dei romani Marco e Filippone e del bolognese Giuliano, mentre Domenico dalla Calabria e Andrea di Verona vivono lì con Genna. Tabacco sul tavolinetto, cartine, posaceneri che strabordano. Genna dice di passarsela bene qui a Melbourne, le paghe sono buone, c’è possibilità di carriera, anche se non sa ancora benissimo cosa farà. Sono tutti cuochi o quasi. Filippone ha un ristorante a Roma ed è venuto in Australia per aprire un’attività tutta sua; spera di portarsi dietro la sua famiglia, ma la via è lunga e faticosa, bisogna prima trovare lavoro e poi sperare che il boss ti faccia da sponsor per il visto permanente. E anche lì sono anni e anni di attesa, c’è la scuola da fare con lo student visa, che ti permette di studiare e non di lavorare, dare lo IELTS, ma soprattutto c’è da rimetterci un sacco di soldi. Io dico agli altri che non me ne frega niente di restare in Australia e nemmeno di prendere il visto per il secondo anno. Sono qui all’avventura, poi quello che dovrà succedere succederà. A dire il vero avevo contattato un po’ di aziende dall’Italia per trovare qualcosa nel campo dell’illustrazione o della grafica. Mi avevano risposto in un paio, gli piacevano le mie cose, ma il mio visto non gli andava bene. Alla fine non mi lamento, credo di avere capito ormai che se una parte di me sogna un lavoro e una relationship stabile, l’altra, gesù, non ci posso fare niente, va per la sua, e gli piace essere di strada e vagabonda. E qualcuno mi disse una volta “finché non allinei i desideri continuerai a vivere come vivi, e forse va bene così”.
Mi apro una birra, cavoli che sensazione fantastica. Sono quasi le due di notte, non mi sento troppo stanca.
«Giuliano dov’è?», chiedo io, è lui che mi ha passato il contatto di Genna, «È fuori a far serata con Marchino, tra un po’ dovrebbero arrivare».
E arrivano infatti a minuti e ci facciamo delle gran feste. Sia lui che Marchino sembrano sballatini, «Che vi siete presi?», «Md’, la coca qui costa troppo». Ci mettiamo in cucina, di là in sala gli altri avevano spiegato i sacchi a pelo e si erano messi a dormire.
«Vuoi una striscettina anche te, Baldi?».
Giuliano l’avevo conosciuto al mare d’estate, a Pesaro, era ferragosto. Ci eravamo parlati appena, mi era sembrato carino, l’aria un po’ tormentata, e fine. Poi discorrendo con amici ecc, quando si era sparsa la voce che sarei andata in Australia qualcuno mi aveva ricordato che lui stava lì da un pezzo e che avrebbe potuto darmi una mano. Avevo altri amici a Melbourne a dire il vero, pesaresi del Bar Odeon addirittura. C’era però qualche complicazione in termini di alloggio e via discorrendo, nessuno di loro aveva la casa, erano tutti ospiti di qualcun altro. That’s Italia!
A una certa andiamo a dormire, apro il sacco a pelo anche io e mi stendo su un materassino da mare. Prenderei anche sonno se non fosse per l’i-Pad di Filippone che vibra e si accende ogni due minuti perché gli arrivano i messaggi da qualche applicazione. Che storia, comunque, mi dico. Siamo in quattro in sala a dormire, chi sul divano chi per terra. Poi il sonno mi vince. L’indomani avrei avuto un sacco di cose da fare, dalla tessera sanitaria all’aprirmi il conto corrente, farmi una nuova sim card e cercare lavoro.

Giuliano si sveglia abbastanza presto e io pure. Decidiamo di beccarci nella City con Marchino che la sera prima se ne era tornato a dormire in ostello. C’è anche Filippone con noi, l’uomo-ansia lo chiamo io, un caro ragazzo ma non si regge, parla di continuo, non sta zitto un secondo. In gruppo, così, ce ne andiamo in giro. Una banda di immigrati, ce l’abbiamo scritto in faccia, si vede lontano un miglio. Italiani, ci sgamiamo subito. Espressione del volto, modo di vestire, modo di pettinarsi, di camminare. I crestini ingellati, le magliette attillate e griffate, i jeans finto-consumati. Melbourne è una piccola Italia. Puoi venire in Australia senza parlare un cavolo d’inglese, basta che conosci qualcuno che sicuramente conosce qualcun altro che ti sbatte a fare il lavapiatti in Lygon St e il gioco è fatto. È più facile trovare lavoro per un italiano che non sa l’inglese che per un inglese o un tedesco che lo parla bene. Perché se gli inglesi e i tedeschi preferiscono viaggiare, per ritornare poi, allo scadere del visto, in madre patria, per l’italiano è diverso. L’italiano viene in Australia sperando di finirci per sempre, cerca il permanent disperatamente, si piazza in una grande città come Melbourne e Sydney e da lì non si muove. Il suo obiettivo è mettere via i soldi, prendersi lo student ecc come dicevo prima. Lavora anche 10, 12 ore al giorno o più, l’importante è non tornare in Italia. Non so quanto sia un desiderio autentico e meditato quello di restare qua a ogni costo; a volte ho l’impressione che sia una cosa come “visto che tutti corrono, corro anche io!”. Ovviamente non è per tutti così, c’è anche gente vagabonda come me.
Grazie al cielo Filippone si stacca per vedere un alloggio, così io, Giuliano e Marchino ce ne andiamo a zonzo per la città. È carina Melbourne. C’è il Victoria Market, un mercato coperto dove puoi acquistare di tutto a prezzi più o meno contenuti. Ci sono un sacco di stands che vendono prodotti italiani, dalla mozzarella di bufala ai peperoncini sott’olio. La Little Italy più famosa di Melbourne è Lygon Street. È lì che sta Brunetti, per dire. C’è un negozio osceno che si fa subito notare per le canzoni di Eros Ramazzotti e Gigi D’Alessio sparate a tutto volume, ovviamente piena di souvenir, maglie di Del Piero, bandierine, gadget e statuette, pieno di merda insomma. Allora a sto punto è meglio Mediterranea, un piccolo supermercato italiano sulla Sydney Road, in Brunswick, dove però una Bialetti per due ti costa una cosa come 36$.
Coi ragazzi andiamo a fare un po’ di spesa. Ci sono parecchi centri commerciali nella City, grandissimi, ti ci perdi, labirinti a tre o quattro piani, l’ultimo con l’erba sintetica che simula un giardino ameno, il primo sotto terra. Kmart è una catena super cheap, ti compri le magliette a 3$, addirittura le scarpe a 3,50$ ma quando te le levi i tuoi piedi hanno un odore mortifero. Sul momento non mi serve niente, giusto un adattatore. Col fatto di essere una backpacker, zaino in spalla insomma, so bene che ogni cosa acquistata ha un suo peso. E pesa non solo sulla coscienza spendere soldi inutilmente ma soprattutto sul groppone. Un sacco di roba andrà buttata, regalata, reciclata.
A una certa andiamo a mangiare qualcosa in una tavola calda asiatica. È piena Melbourne di asiatici, anzi, nella City vedi per lo più asiatici, gli australiani stanno nascosti si vede, o escono di notte come i coackroaches, gli scarafaggi ovvero. Rieccolo, Filippone, l’uomo-ansia, parla anche quando mastica. Non ce la fa a esprimere un concetto in due parole, deve metterci per forza la salsina intorno, allungata certamente. A me viene da vomitare. Proprio non c’è verso di mangiare, manco la colazione ho fatto, come se un elastico mi stringesse alla bocca dello stomaco. Giuliano carinello insiste e così mi prendo un brodino. Credo che sia per il jet lag, comunque.
Finiamo con i caffè. Siamo sulla Swanston dove si vedono artisti di strada ogni dieci metri. Anche in questo caso per la maggior parte sono asiatici e trovi dal cantante pop cinese, all’illusionista indonesiano con la sfera di cristallo fino a una fuori di testa acconciata alla Sailor Moon che canta con una carota in mano.
Noi intanto camminiamo e camminiamo. Non torniamo a casa per niente, Genna ci raggiunge in un pub. Siamo a fianco del Backpackers Hostel, l’ostello più popolare di Melbourne. Un sacco di gente vive per mesi e mesi negli ostelli, di solito finché non trova lavoro, ma non è detto. Giuliano mi racconta la sua unica vicenda sentimentale australiana, una ragazza di Treviso che di mestiere fa la spogliarellista. Lui vendeva l’erba, lei la comprava. Cominciano a frequentarsi, tour de force sotto le lenzuola, una tortura cinese (cit.).
«E poi?».
«Lei è matta come un cavallo, quindi non poteva funzionare».
Ordininiamo un paio di jug. Scopro qui cosa sono le jug, caraffone di birra decisamente più economiche del bicchiere. Una birra in media la paghi 10$ a Melbourne. La birra e gli alcolici in generale ti salassano in Australia. E non è che puoi prenderli al supermercato. Nei supermercati non si vendono alcolici devi andare da Liquorland e comunque la lattina più economica costa 3$. Se ti vuoi ‘mbriagare con poco devi comprare il vino nella scatola di cartone, ci stanno mi pare 12 litri e costa una decina di dollari. O le bottiglie in vetro da Aldi, tipo Lidl da noi, e con 3, 5 dollari te la puoi cavare.

Dopo un paio di bevute sono già su di giri. Accanto a noi un tavolo di cinesi celebrano qualcosa. Mi faccio avanti, sfido uno di loro a braccio di ferro. Ovviamente perdo, ma era tanto per fare scena, e questa mia prodezza finisce in formato digitale nel cellulare di un paio di ragazze di Hong Kong.

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